«Dove eravate, e cosa facevate, il 22 febbraio 2020? Qualcuno lo ha dimenticato? Io ero in teatro: nel pomeriggio traducevo le Rane di Aristofane, alle prove col regista Marco Cacciola, in Sala Fontana a Milano, in previsione del debutto previsto per il maggio 2020». Comincia così l'articolo che la Prof.ssa Martina Treu, che in IULM insegna Arti e drammaturgia del mondo classico, ha dedicato alla tanto attesa riapertura dei teatri. Come molte altre forme artistiche, il teatro ha sofferto e soffre conseguenze terribili per effetto della pandemia. Le istituzioni teatrali hanno reagito al vero e proprio cataclisma che si è abbattuto su di esse cercando, per quanto possibile, di adeguarsi a modalità alternative di comunicazione e rappresentazione, ma è innegabile che il teatro vive nello spazio della messa in scena, nella passionalità della performance, nella magia di un hic et nunc mai ripetibile e mai uguale a sé stesso. Nel suo elaborato e approfondito articolo pubblicato sul quotidiano "Domani" Martina Treu si sofferma su molteplici temi riguardanti il presente, ma soprattutto il futuro del teatro.
L'autrice si sofferma su quelli che sono stati i momenti più bui — purtroppo non ancora completamente finiti — con queste parole: «
Giù il sipario nei teatri, chiuse le porte di cinema, arene e locali di musica dal vivo, sale da concerto e da ballo. In pochi, e per breve tempo, hanno riaperto. Ci sono stati appelli, manifestazioni, trasmissioni online e in tv. I lavoratori dello spettacolo hanno chiesto di essere riconosciuti come essenziali, di riaprire i teatri come le chiese, perché il teatro è un rito collettivo. Ma per molti mesi quelle porte, a parte poche eccezioni, sono rimaste chiuse. Si sono riaperte simbolicamente la sera del 22 febbraio 2021, per l’iniziativa “Facciamo luce sul teatro” organizzata da Unita – Unione nazionale interpreti teatro e audiovisivo: per poche ore si sono illuminati palchi e foyer, organizzati incontri, letture, recite a distanza, raccolti i messaggi di un pubblico fedele e affezionato che di quei luoghi, riti e persone sente dolorosamente la mancanza, ed è ricambiato».
Martina Treu racconta poi della figura del classicista e regista teatrale statunitense Bryan Doerries, che la professoressa ha intervistato per una rubrica di RadioIULM: «Dal 2009 — prosegue l'articolo — la sua missione, ispirata da una tragedia personale, è aiutare con il teatro chi soffre, specialmente per effetto di traumi o violenze: vittime di guerra e di tortura, militari in preda al cosiddetto stress post traumatico (Ptsd), a rischio depressione e suicidio, e potenziali minacce per i loro familiari. Doerries, vincendo le iniziali resistenze, ha fatto di necessità virtù: ha organizzato letture sceniche gratuite di drammi classici in streaming, introdotte da lui e seguite da dibattiti con ospiti di rilievo o gente comune, ma fortemente coinvolta. Ha via via reclutato attori di teatro e cinema di fama mondiale, raggiungendo un pubblico globale in continua espansione: molte migliaia di persone collegate in contemporanea da ogni parte del mondo». Una delle "strategie di sopravvivenza" dell'arte teatrale nell'epoca del Covid-19 che dimostra come, anche lontano dai suoi luoghi deputati, il teatro conservi il suo fascino e la sua vitalità.
Nell'ultima sezione del suo editoriale, la Prof.ssa Treu affonta il tema del "dopo". Queste sono le sue conclusioni: «Non basta riaprire, bisogna riformare l’intero sistema, permettere a chi lavora in teatro – e nello spettacolo dal vivo – non solo di sopravvivere, ma di vivere pienamente, davvero, e condividere la propria arte. Per il bene loro, nostro, e dell’intero paese. Se non ora, quando?» Interrogativo più che necessario, perché non succeda, come spesso nel nostro Paese, che "passata la tempesta" ci si dimentichi di tutto questo: occorre intervenire a livello legislativo e subito.
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