Massimo Recalcati in IULM per riflettere sul tema della salute mentale

Cultura - Data pubblicazione 13 ottobre 2022 - Data evento 10 ottobre 2022

Il 10 ottobre si è tenuta in IULM la proiezione del film Qualcuno volò sul nido del cuculo. Dopo la proiezione, il Rettore Prof. Gianni Canova ha dialogato con lo psicoanalista Massimo Recalcati per riflettere, a partire dal film, sul tema della salute mentale e della lotta contro lo stigma sociale.

In occasione della Giornata Mondiale della salute mentale, il 10 ottobre si è tenuta in Auditorium IULM la proiezione di Qualcuno volò sul nido del cuculo, il capolavoro di Miloš Forman che nel 1975 cambiò radicalmente il modo in cui la Settima Arte si rapportava alle patologie mentali e ai metodi disumani di contenzione applicati all’interno delle strutture psichiatriche.

Dopo la proiezione, il Rettore IULM, Prof. Gianni Canova ha dialogato con lo psicoanalista Massimo Recalcati per riflettere, a partire dal film, sul tema della salute mentale e della lotta contro lo stigma sociale.

“Questo film esce in sala nel 1975, tre anni dopo la pubblicazione de L’Anti-Edipo di Deleuze e Guattari che offrì una rappresentazione diversa e nuova della follia e, allo stesso tempo, tre anni prima della legge Basaglia: un’epoca, dunque, in cui il tema era più che mai sentito - così Recalcati ha introdotto l’opera nel suo intervento. In esso è possibile riconoscere tre forme differenziate di follia:
● Follia come malattia mentale: per Basaglia la malattia mentale è il risultato dell’istituzionalizzazione della follia. Il luogo della cura diventa così luogo della riproduzione della follia. Lo vediamo nel film: il manicomio in realtà produce sofferenza, malattia, cronicizzazione, trasformando per sempre gli individui in malati;
● Follia antiedipica: ovvero l'idea che la follia si produca per esclusione, per “recinzione” rispetto alla ragione. Il nativo-americano, tra i protagonisti del film, dà proprio la misura di questa esclusione originaria;
● Follia del potere: che pretende di governare lo spazio, il tempo, di esercitare il dominio sulla vita: qui visibile nella figura di infermieri e direttori della struttura.”

GC: Qual è l’obiettivo di questo potere, dunque? Quello di addomesticare, di ricondurre a un ordine?
MR: “Basaglia afferma che la follia appartiene alla dimensione umana. La follia è ciò che non rientra nell'ordine, per cui coincide con la libertà. Questa deviazione può essere creazione, fantasia - pensiamo alla follia van Gogh - ma può diventare anche la follia Hitler, che produce irreggimentazione, fanatismo, idolatria, guerra (anch'essa manifestazione radicale della follia paranoica).”

GC: Tornando al film, la cosa che colpisce è come sceneggiatura e regia riescano a descrivere gli psicotici come un gruppo, ma allo stesso tempo a dare un'identità a ognuno di loro. Questi personaggi sono secondo te interessanti dal punto di vista clinico?
MR: “Sì, perché vediamo che il manicomio li ha destituiti da ogni soggettualità. La follia non è solo luogo di libertà, ma anche di disperazione. Lacan dice che il folle è immerso nel Reale, cioè nell'inferno del suo delirio, delle sue allucinazioni. Ho un paziente che seguo che, appena toglie le cuffie, è invaso da voci metalliche che gli trafiggono il cervello. La follia è quindi anche luogo di sofferenza, che aumenta nella misura in cui aumenta la discriminazione.
In questo film vediamo ancora una forma di cura costituzionalista che pensa che la malattia mentale sia una malattia del cervello, e per questo interviene non sul soggetto ma sul cervello (attraverso elettroshock o lobotomia). Basaglia dice che la psichiatria considera la mente umana come mente morta (riconducendola semplicemente al cervello). Ma il soggetto non è il cervello, la soggettività implica una maggiore complessità.”

GC: Qual è invece la percezione in merito all’utilizzo dei farmaci nella cura?
MR: “Non c'è trattamento della parola possibile senza trattamento farmacologico. Ma i farmaci non sono la cura, bensì la condizione per la cura. La cura è la possibilità di ridare dignità alla soggettività del paziente. In molti casi ci sono famiglie con ragazzi psicotici che esigono che il figlio si sposi, abbia una famiglia… questa esigenza di normalizzazione complica la loro condizione. L’elemento storto del soggetto dev'essere una sua risorsa. Quello che appare come una devianza, deve diventare un punto di forza su cui costruire una soggettività differente.”

GC: È interessante notare come donne e afroamericani, soggetti tradizionalmente deboli, qui siano i cardini della società restrittiva: sono loro a interpretare le figure di infermieri e capisala.
MR: “Questa è una grande riflessione sul potere e sulla follia come cifra ed espressione fondamentale della condizione umana. Le differenze qui vengono trattate in modo da essere trasformate in deformità. Nicholson rappresenta però l'irruzione del desiderio nella valle deserta del potere. Mette in discussione la parola confine, rappresenta un continuo tentativo di rendere i confini porosi, quando invece la pulsione securitaria degli ultimi anni ha stabilito come simbolo un muro. Mentre lo schizofrenico non riesce a stabilire confini, noi abbiamo la necessità di considerare il confine. Al tempo stesso però, quando il confine si irrigidisce, la vita muore.”

GC: Infatti il protagonista, Randle McMurphy (Jack Nicholson), apre continuamente varchi all’interno della struttura (finestre, porte), ma è anche un grande mentitore, finge continuamente di essere quello che non è.
MR: “Sì, e questo mentire è finalizzato a far emergere il desiderio, che è sempre antagonista al potere. In questo film siamo di fronte agli effetti della potenza del desiderio: senza l'irresponsabilità del desiderio non c'è generazione del nuovo. Lo psicanalista prende sempre le parti del desiderio, della corsa, del mare, dell’apertura. Il desiderio però è un’eccedenza, non è una tranquilla giornata borghese.”

GC: Oggi, a cinquant’anni dall’uscita di questo film, è cambiata la considerazione sociale della follia, della malattia mentale e delle sue terapie, o c'è ancora disagio a parlarne, a riconoscerle?
MR: “Abbiamo fatto tanti passi in avanti. Nel film sentiamo la minaccia: ‘Lo dirò a tua madre’. Questo significa non lasciare vivere il desiderio se non nella colpa. Il desiderio, e quindi la malattia mentale, è una colpa. Abbiamo fatto tanti sforzi per liberarci di questa rappresentazione moralistica. Chiaro che esiste ancora lo stigma: ad esempio tutti noi psicoanalisti sappiamo dai nostri studi che il 75/80% delle pazienti sono donne. Questo perché le donne hanno più capacità di riconoscere la vulnerabilità, e hanno dunque una vita psichica più complessa. Gli uomini invece sono refrattari al riconoscimento della fragilità. La confidenza con il pianto, con la caduta, con il fallimento per noi è più difficile.”

GC: Per concludere: una riflessione sul finale del film, sicuramente una delle scene più belle e potenti dell’intera opera.
MR: “Trovo il finale straordinario. In esso vediamo come dare la morte possa essere un dono d'amore, e questo va nella direzione opposta rispetto al pensiero per cui uccidere è sempre immorale. È una riflessione importante per la discussione sul trattamento di fine vita di cui sempre più spesso sentiamo parlare.
Abbiamo poi una seconda rottura, quella delle acque, che si sprigionano dopo che il nativo svelle il lavabo in marmo, liberando l’acqua che prima era incanalata. La gita in barca è straordinaria perché è il passaggio dall’orizzonte carcerario, chiuso, all’orizzonte sconfinato del mare. In tutti noi c'è la figura della caposala, ovvero una parte fascista che ci spinge a preferire la piscina al mare. Perché il mare, come il bosco, è luogo di libertà. Ma la libertà è sconfinata porta meraviglia e contemporaneamente angoscia. Mentre in piscina gli argini sono definiti con precisione, siamo dentro la norma.”

GC: Anche se, durante la fuga in mare aperto, la barca gira in tondo e in questa traiettoria finisce per diventare confine di se stessa.
MR: “Questa è una rappresentazione perfetta della follia: il folle è qualcuno che vive dentro un incubo. L'incubo del girare sempre attorno a se stesso."