Come sarà il mondo dopo il Covid19? È la domanda che tutti noi ci stiamo facendo da quando l’emergenza è iniziata. Perché, come ha scritto lo storico israeliano Yuval Noah Harari sul Financial Times, le decisioni che prenderemo durante la pandemia determineranno anche i cambiamenti delle nostre società una volta che il Covid-19 sarà superato. Dovremo abituarci a scambiare tempo in cambio di sicurezza? Ad anteporre il binomio diffidenza-distanza alle abitudini post-globalizzazione? A convivere per sempre con mascherine e guanti?
La redazione ha intervistato il sociologo e professore IULM Vanni Codeluppi che, nel suo ultimo libro Come la pandemia ci ha cambiato?, ha provato a far luce sulle principali modificazioni che la pandemia sta determinando nella vita quotidiana delle persone.
Nel suo ultimo libro scrive di come stia
emergendo un quadro complesso e problematico, che mette e metterà in crisi le
nostre certezze scoprendo una serie di fragilità che contraddistinguono le
società più avanzate. Può spiegarci più nel dettaglio quale secondo lei sarà lo
scenario futuro e le conseguenze
di questa pandemia a breve e a lungo termine sulla nostra società e sulle
nostre vite?
Gli esseri
umani non sono in grado di prevedere il futuro della loro società. Possono però
cercare di formulare delle ipotesi sulle tendenze sociali in corso per cercare
di capire quali abbiano maggiori probabilità di presentarsi prossimamente. È
quello che ho tentato di fare nel mio libro. Ne è emerso un quadro articolato
delle tendenze che erano attive prima della pandemia di Covid-19. A mio avviso,
passato lo choc della pandemia, gran parte delle tendenze precedenti
riprenderanno il loro corso. Ci saranno però anche dei cambiamenti. Credo che
uno dei cambiamenti più significativi consisterà nel fatto che dovremo abituarci
a convivere con il virus. Certo, nella nostra vita ci sono sempre stati molti
virus, ma di solito non ne eravamo consapevoli. Questo nuovo virus non potrà
essere ignorato e ciò muterà notevolmente i nostri comportamenti.
Secondo lei,
oggi che i numeri stanno risalendo, come reagiranno le persone a questa nuova
fase (e alle nuove restrizioni)?
Gli individui
possiedono una notevole capacità di adattamento. L’hanno dimostrato soprattutto
gli italiani nella prima fase della pandemia, quando hanno accettato docilmente
di restare chiusi in casa per diverse settimane e questo ha creato nel nostro
Paese una situazione sanitaria migliore rispetto a molti altri. Non sono sicuro
però che gli italiani continueranno ad accettare delle forti restrizioni alla
loro vita privata. A lungo termine, le energie psicologiche necessarie per
adattarsi tendono ad esaurirsi e la capacità di adattamento s’indebolisce.
La paura del contagio e la sfiducia nell’altro
è una cosa da temere e che potrebbe anche portare alla conflittualità
interpersonale e alla rottura della coesione sociale?
Questo è uno dei problemi principali che la pandemia di Covid-19 ci ha portato.
È noto come gli esseri umani siano fondamentalmente degli animali sociali. Non
possono fare a meno delle relazioni con gli altri. La pandemia ci ha impedito di
fare proprio questo. Anzi, a dire il vero, insieme a questo, ha creato una
situazione paradossale, perché ci ha resi consapevoli del nostro forte bisogno
degli altri mentre c’impediva di soddisfarlo. Non sono convinto però che questo
porterà a maggiori conflitti. Se questi conflitti ci saranno, a mio avviso,
sarà principalmente per ragioni economiche e di diseguaglianza sul piano del
reddito.
Questione privacy: il
Coronavirus, cambierà le nostre vite anche in questo campo? L’eccessivo
controllo del singolo e la sua successiva classificazione (in questo caso in
infettati, guariti, isolati ecc.,) potrebbero portare davvero a quel modello di
società sorvegliata che abbiamo letto in numerosi libri di letteratura e sociologia?
La registrazione e la vendita dei
nostri dati personali erano già molto presenti prima dello scoppio della
pandemia. È un fenomeno che si è sviluppato negli ultimi decenni via via che la
nostra vita si è digitalizzata e noi abbiamo cominciato a lasciare delle tracce
online di tutto quello che facciamo. La sociologa americana Shoshana Zuboff ha
chiamato da tempo tutto questo “capitalismo della sorveglianza”. Non credo però
che finiremo a vivere in una società del controllo totale della vita delle
persone. Il Parlamento Europeo ha recentemente approvato delle leggi innovative
a tutela della privacy e anche negli Stati Uniti si discute da tempo di questo
problema. Insomma, credo che le società stiano tentando di reagire a questa
situazione.
Ci sono aspetti positivi
di questa situazione su cui le piacerebbe soffermarsi? Cosa ne pensa per esempio delle opportunità
create dallo smart working e dalla didattica a distanza o
anche dei riscoperti valori quali l'unità, la solidarietà, il fai da te, la
vicinanza e la condivisione nonostante le distanze fisiche?
La crescita dello smart working e della
didattica a distanza, indubbiamente, sta producendo dei grandi benefici per
quanto riguarda l’inquinamento e la tutela dell’ambiente. Ma produce anche
delle conseguenze negative a livello dell’economia, a cominciare dall’attività
economica e commerciale presente nelle città, e anche sulla condizione psicologica
delle persone. Sull’entità di tali conseguenze però sappiamo ancora poco,
vedremo a lungo termine quello che succederà. Possiamo ritenere comunque che probabilmente,
finita l’emergenza della pandemia, questi vantaggi e svantaggi si
ridimensioneranno. Inoltre, la pandemia, come sempre succede in situazioni di
crisi, ci ha reso più umani, vale a dire che ci ha avvicinato agli altri e ci
ha fatto comprendere l’importanza della solidarietà tra le persone. Credo però
che anche in questo caso ci troviamo di fronte a un effetto di breve termine.
Passata l’emergenza, ritorneremo a essere individualisti e fortemente
concentrati sulla nostra dimensione personale. Con la consapevolezza però che
avremo insieme a noi un nuovo compagno di vita: il virus.