Il Covid ha cambiato la lingua italiana?

Cultura - 08 gennaio 2021

Com'è cambiato il nostro modo di esprimerci durante la pandemia? Che impatto ha avuto il Covid19 sulla ligua italiana? Ne ha parlato il Prof. Stefano Bartezzaghi nella trasmissione Uno Mattina.

A cambiare, in questi ultimi mesi, non sono state solo le abitudini degli Italiani. Il Covid-19 ha modificato a fondo quasi tutti gli aspetti della nostra quotidianità: dal lavoro alla scuola, dalla vita sociale al modo di fare la spesa. E anche la nostra lingua non è stata esente da cambiamenti

La mascherina non è più quella di carnevale, la curva non è più solo quella della strada e l’aggettivo positivo non viene più associato necessariamente a qualcosa di buono. In modo impercettibile ma velocissimo, questa pandemia ha cambiato i connotati della lingua italiana (e non solo) introducendo neologismi, rendendo comuni termini che non lo erano e aggiungendo loro nuovi significati.

Il Professore di Semiotica Stefano Bartezzaghi - nella puntata di Uno Mattina del 6 gennaio (disponibile in replica su Rai Play) – ha commentato così questo fenomeno: “In questi mesi abbiamo assistito a un radicale cambiamento del discorso sociale e della comunicazione, che è fatta di parole, certo, ma anche di gesti e di condivisione. C’è stato bisogno di introdurre parole nuove, di creare neologismi, di adattare parole vecchie a nuove situazioni. Ci sono stati, per esempio, alcuni interessanti slittamenti semantici: parole che usavamo abitualmente con un determinato significato ne hanno assunto uno diverso, che è diventato quello che ora utilizziamo di più.” Si pensi, per esempio, al nuovo significato del verbo tamponare. Finora questa parola era utilizzata soprattutto per descrivere un incidente in macchina o, in campo medico, all’atto di fermare la fuoriuscita di sangue da una ferita. Oggi invece ha assunto un significato totalmente differente e tutti noi sappiamo cosa significa eseguire un tampone per una diagnosi. Ora siamo in grado di comprendere parole utilizzate prima solo in medicina come paucisintomatico mentre altre espressioni prima molto comuni sono in declino (una su tutte? La frase “sono una persona positiva” oggi assume un’accezione sinistra visto il suo ormai ovvio rimando alla positività al Covid.)

Insomma, la creatività linguistica in tempi di stravolgimenti socioculturali rispecchia le preoccupazioni dell’epoca e come gli individui le fronteggiano. Nel caso del coronavirus tutto è stato ulteriormente amplificato da fattori come l’isolamento sociale globale e la diffusione della tecnologia. Dall’inizio della pandemia siamo infatti stati costretti in massa a smettere di comunicare attraverso i gesti e la vicinanza fisica, ed ecco che parole, prima insolite, hanno iniziato a rimbalzare di bocca in bocca, di social in social, fino a diventare quotidiane. Parole che ci fanno sentire parte di un’unica comunità che condivide un’esperienza mai vissuta prima. La tecnologia ovviamente ha reso tutto più veloce, ampliando la rete di connessioni e facendola uscire dai confini nazionali. Ecco perché un termine come lockdown è diventato parte del nostro dizionario nel giro di poche settimane e abbiamo visto la comparsa di diversi neologismi come quaranteam o quarantimes - per indicare le persone con cui si è chiusi in casa o il periodo di isolamento - Quarantini, neonato drink da sorseggiare in casa all’ora dell’aperitivo – o ancora l’epiteto covidiota, riferito a chi non rispetta le norme comportamentali per prevenire la diffusione del virus.

Per chi fosse interessato ad approfondire l’argomento, la stessa Treccani ha realizzato un vero e proprio elenco delle parole che caratterizzano il panorama semantico del Covid-19.