Il cacao (Theobroma L.) cresce in foreste pluviali tropicali, originalmente del bacino amazzonico e della Mesoamerica, dove si sarebbe diffuso il tipo cosiddetto criollo. Gli altri due tipi più noti di cacao sono il forastero (il più diffuso) e il
trinitario, anche se esistono circa 22 varianti, oltre ad altri parenti stretti come il pataxte (Theobroma bicolor).
Il cacao cresce storicamente in un sistema forestale addomesticato dall’uomo in equilibrio con la biodiversità locale. L’albero può andare mediamente dai quattro ai sette metri e in alcuni casi raggiungere anche i dieci. I fiori di cacao (bianchi o rosati) nascono direttamente dal tronco, le foglie sono grandi e resistenti. I frutti, le cabosse, possono avere diverse dimensioni e colori (giallo, verde, rosso, arancione, marrone), a seconda del tipo. Mediamente vanno dai 15 ai 20 cm di lunghezza e dai 6 ai 12 di larghezza. Al loro interno la polpa nasconde le fave, i semi. Il pataxte è invece più arrotondato nelle forme.
L’impollinazione del cacao avviene attraverso un particolare tipo di moscerini che vivono nell’habitat umido generato dal suolo, alimentato dal processo di trasformazione del fogliame caduto. Il tutto in un contesto di forte umidità e di un habitat tradizionalmente ombroso. In tale contesto gli alberi di cacao non mantengono una forte densità, dovendo ricevere protezione da altri alberi più alti: mango, palo santo, palo mulato, palo colorado, cedro, maquilí, pimienta gorda (albero del pepe), caoba, per arrivare alla grande ceiba (una pianta della famiglia bombacea che può superare anche i 50 metri di altezza).
Storicamente nel Manché il cacao era coltivato insieme ad achiote e vaniglia. Nello Yucatan sono state rinvenute tracce di giardini con alberi di cacao coltivati in cenotes sotterranei, nascosti nella penisola calcarea.
L’habitat tradizionale dell’albero di cacao vedeva la presenza di animali disseminatori, quali scimmie, scoiattoli e topi, preziosi nel mangiare la polpa e diffondere i semi. Come scrive Clementina Battcock la scimmia veniva storicamente rappresentata, nel mondo maya antico, incinta, proprio per questa sua funzione di animale disseminatore. Una piccola statua conservata nel museo Pellicer Camara di Villahermosa di un mono
embarazado rispecchia questo modello. Nel museo Amparo di Puebla una scimmia (mono araña) connessa all’atto sessuale impugna una cabossa di cacao. Nel sito classico di Toniná, in Chiapas, un’altra statua raffigura una scimmia con un collare di cabosse di cacao. Le interpretazioni più accreditate la associano a un rito sacrificale propiziatorio (la scimmia ha gli occhi chiusi e parrebbe essere morta), laddove il cacao è spesso associato all’idea di morte e resurrezione. Potrebbe anche trattarsi però di una protezione simbolica.
Altri animali mammiferi sono rappresentati in associazione al cacao. Nel codice di Dresda un opossum trasporta il dio della pioggia che mangia fave di cacao. Nel Museo di antropologia di Città del Messico un talcuache è rivestito di cabosse. Anche il giaguaro, animale notturno che si muove nei cacaotales, è associato al cacao e ai suoi elementi simbolici con un forte afflato di naualismo rituale. Il pataxte è anche noto come arbol jaguar e in alcune aree del Guatemala e del Messico meridionale viene associato anch’esso al ciclo della vita. Il glifo del cacao rimanda invece alla raffigurazione di un pesce, simbolo di rinascita.
Nonostante il contesto ombroso diversi uccelli sono associati al cacao, come raffigurato in codici preispanici e coloniali. Infine, altri animali notturni e anfibi, rane, serpenti, tartarughe (nelle loro infinite varianti tabasqueñe) e perfino coccodrilli sono associati in alcuni apparati simbolici al cacao e al suo ciclo vitale, come emerge dagli alberi coccodrilli con cabosse di Copan, in Honduras, o dalla danza rituale di Cúlico.
L. Caso Barrera (ed), Cacao, producción, consumo y comercio. Del período
prehispánico a la actualidad de América latina, Iberoamericana-Vervuert, Madrid 2016, J. Kufer, C. McNeil, The Jaguar Tree, in C. McNeil, Chocolate
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