Il cacao, come già anticipato nei pannelli della mostra, ha storicamente una forte connessione con il ciclo della vita: nascita, morte e rinascita. Se ne parla nel Popol Vuh, il libro cosmogonico dei maya quiché del Guatemala, e in una lunga serie di reperti archeologici provenienti dalle diverse stagioni delle culture maya preclassiche, classiche e post-classiche, così come dal mondo mixteco, tolteco e azteco-mexica.
Questa dimensione resta ancor oggi viva in molte comunità maya, chol, chontal e zoque di Tabasco e Chiapas. Se infatti il Codice Vidobonensis, un documento del XIV secolo, richiamava il matrimonio, suggellato dal cacao, tra il dio della pioggia e la dea dell’ostetricia, è interessante notare che questa tradizione si è perpetrata in alcune comunità fino al XXI secolo.
Il francescano Diego de Landa, primo vescovo della diocesi dello Yucatan dal 1549, descrisse una cerimonia che gli parve simile a un battesimo di bambini e bambine che venivano circondati da quattro uomini anziani che rappresentavano il dio della pioggia Chac. Un sacerdote maya impugnava un osso che intingeva in una tazza ricolma di una bevanda di cacao con fiori. Poi con versava il liquido sulla loro testa e tra le loro dita.
In alcune comunità chol della sierra di Oxolotán, le parteras, ostetriche e incaricate della salute dei neonati, tagliano il cordone ombelicale e lo danno ai genitori da seppellire nella terra. Al contempo ripongono un seme di cacao nell’ombelico del neonato, per fasciarlo. L’operazione viene ripetuta in tutta la prima fase dello svezzamento. Il cacao stretto sull’ombelico è concepito come un atto curativo e al contempo propiziatorio.
Questa pratica si ritrova anche in alcune comunità chontal. Anche l’uso del cacao e del pozol come medicina è ancora diffuso in diverse aree indigene, grazie in particolare alle proprietà ossidanti e ad alcune caratteristiche precipue dei flavonoidi presenti nelle fave.
Ad Agua Blanca, villaggio chol nell’area di Tacotalpa, mais e cacao accompagnano la festa del día de la
cruz, a inizio maggio, adornando la Chiesa e accompagnando i riti del matrimonio. Una pratica che si ritrova anche in comunità chontal di Nacajuca e Comalcalco.
A Cupilco, villaggio nahuatl, circondato da comunità zoque e chontal, la cabossa morta del cacao è chiamata mizqui e assume un valore simbolico rituale di accompagnamento alla fine della vita, in attesa della rinascita del prossimo raccolto (il cacao ha due raccolti l’anno). Per la festa rituale della Vergine de la Asunción le cabosse vengono offerte alla Vergine di Cupilco insieme ad altri frutti e alimenti come simbolo di fertilità e prosperità per il raccolto ma anche come voti per avere bambini.
In particolare, però il cacao ritorna prepotentemente nelle celebrazioni dei morti. Tamales a base di cacao, pozol,
tlazcalate, pataxte e altre bevande vengono collocate sugli altar de
muertos famigliari, sulle tombe nei cimiteri e vengono portate in processioni rituali. Un rezador normalmente accompagna il rito o la processione con un incensiere dove si brucia resina di copal.
J.M Flores López, Chontales de Tabasco, CDI, México 2006, M.O. Marion,
Identidad y ritual entre los mayas, INI-SDS, México, 1994, T. Mora, Y. González, S. Ortiz Echaniz, Ceremonias para los muertos: en Cholula, Puebla
y entre los chontales de Tabasco, Departamento de Etnología y Antropología
Social, México 1981, A. Warman, Los indios mexicanos en el umbral del
milenio, Fondo de Cultura Económica, México 2003