Il mondo digitale: intervista al sociologo Prof. Vanni Codeluppi

Comunicazione - 25 gennaio 2023

Quali sono le conseguenze sociali delle piattaforme, dei social media, dei software informatici e degli algoritmi in cui ormai viviamo totalmente immersi? Intervista al sociologo Vanni Codeluppi. professore di Sociologia dei media in IULM.

Il digitale è ormai parte integrante della nostra società, al punto da rendere difficile, e per certi versi inesatta, la distinzione tra reale e virtuale. Piattaforme e social media hanno avuto conseguenze sociali rivoluzionarie, consentendo alle persone di connettersi e condividere informazioni su vasta scala, ma sono state anche criticate per la diffusione di disinformazione, l'esacerbazione della polarizzazione politica e la loro influenza sulla salute mentale.

Gli algoritmi, meccanismo fondamentale di questo mondo digitale, stanno avendo un impatto enorme sulle informazioni che le persone recepiscono e su come queste vengono presentate. Facilitano la ricerca, permettono di scoprire contenuti adeguati ai nostri gusti, ma allo stesso tempo possono essere usati per perpetuare e amplificare i pregiudizi, e per manipolare o influenzare il comportamento e il processo decisionale delle persone.

Se da un lato, quindi, il mondo digitale ha portato una serie di benefici e ha reso più facile per le persone connettersi e condividere informazioni, dall'altro ha mostrato anche delle conseguenze negative, in particolare nell'area della privacy, della sicurezza e della salute mentale.

Queste sono le prospettive davanti a cui ci pone l’attuale - e futura - rivoluzione digitale, analizzate dal sociologo Prof. Vanni Codeluppi nella sua ultima pubblicazione: Mondo digitale (Laterza, 2022). 

Social media, algoritmi, piattaforme. Perché, professore, in parte ci sentiamo sempre minacciati da queste tecnologie?

Le nuove tecnologie sono dotate di un’elevata efficienza. Sono in grado cioè di svolgere numerose operazioni. Per questo tendiamo spesso ad attribuire loro dei poteri “magici”. E ciò ci porta spesso a considerarle più potenti di quello che in realtà sono. Anche se indubbiamente possiedono un notevole potere sociale e sono in grado d’influenzare la nostra cultura e la nostra vita quotidiana. Da questo punto di vista, possono per certi versi essere paragonate ai media più tradizionali, come i giornali e la televisione. Possiedono cioè quello che qualche anno fa John B. Thompson, uno dei maggiori studiosi dei media, aveva chiamato «potere simbolico», intendendo con tale espressione la capacità dei media «d’intervenire sul corso degli eventi, d’influenzare le azioni degli altri e di creare avvenimenti producendo e trasmettendo forme simboliche». Ecco, anche le tecnologie elettroniche operano allo stesso modo, in quanto con la loro attività producono delle conseguenze sociali. Si pensi soltanto al processo di «digitalizzazione», vale a dire a quella operazione di traduzione informatica che viene costantemente praticata sul mondo in cui viviamo. Tutto quello che esiste nell’universo viene trasformato in un dato numerico e ciò consente di rendere, ad esempio, tutti i suoni dell’universo oppure tutti i dipinti della storia dell’arte qualcosa che può essere facilmente stoccato, modificato e diffuso socialmente. Il che non può che produrre inevitabilmente delle conseguenze sulla nostra cultura.

C'è qualcosa che dovremmo rimpiangere della società e della vita pre-digitale? Qualcosa che, in questo passaggio, abbiamo definitivamente perso?

Penso che uno dei cambiamenti maggiori sia quello comportato dall’accelerazione dei nostri tempi di fruizione dei messaggi. Gli studi, soprattutto quelli della statunitense Maryanne Wolf, ci dicono che gli esseri umani stanno perdendo la loro capacità di effettuare una «lettura profonda», cioè quella che richiede al lettore di essere in possesso di una «pazienza cognitiva». Più in generale, mi sembra che lo sviluppo del mondo digitale porti con sé un’enorme moltiplicazione dei messaggi che vengono messi in circolazione e ciò impone alle persone di accorciare in misura crescente i loro tempi di fruizione. Il digitale cioè si muove più in fretta rispetto alla capacità umana di tenere il suo passo e gli individui devono necessariamente tentare di sviluppare delle strategie di adattamento a questa situazione. Il che comporta che si produca un sempre più elevato livello di accettazione di forme di comunicazione di natura approssimativa. Forme di comunicazione cioè che sono imprecise e grossolane, ma comunque in grado di consentire alle persone di comunicare in maniera veloce.

Queste tecnologie hanno rafforzato il concetto di società e socializzazione come da principio si proponevano? Ci hanno resi più sociali?

Credo che utilizzare la denominazione «social media» sia stata una geniale operazione di marketing. Perché questi strumenti tecnologici sono tutt’altro che sociali. Ormai esistono numerose ricerche empiriche che dimostrano che siamo di fronte a un’illusione: in apparenza ci viene promesso di poter avere più relazioni con gli altri, in realtà succede il contrario e si genera un crescente indebolimento dei legami sociali. Più le persone utilizzano Facebook e gli altri social media, più sentono di essere isolate socialmente e infelici. Il che avviene a causa del fatto che l’impiego di questi strumenti riduce necessariamente il tempo dedicato ai contatti diretti con le persone e alle capacità relazionali che tali contatti consentono di sviluppare. Inoltre, è noto come le aziende che gestiscono i social media tentino costantemente di incrementare il tasso di conflittualità sociale, perché in questo modo accrescono anche il tempo di collegamento degli utenti e, di conseguenza, i loro guadagni. Dunque, i loro algoritmi attribuiscono una superiore visibilità alle posizioni estreme, che sono in grado di provocare un maggior numero di reazioni polemiche.

Che sensazioni ha riguardo quelli che saranno gli sviluppi futuri? È fiducioso?

Credo che di fronte a tutti i nuovi strumenti sia necessario avere un atteggiamento ambivalente. Da un lato, si tratta generalmente di strumenti che sono in grado di portarci dei notevoli benefici. Oggi, grazie al mondo digitale, abbiamo a disposizione delle possibilità che qualche anno fa non eravamo assolutamente in grado d’immaginare. Possiamo incrementare notevolmente le nostre conoscenze e le nostre capacità di ragionamento. Allo stesso tempo, però, è necessario vigilare. Questi strumenti, proprio perché sono molto potenti, possono produrre anche degli effetti negativi sulla cultura sociale. Soprattutto sui soggetti deboli perché privi di strumenti di difesa: i bambini, gli adolescenti e gli anziani. Non si può dunque che concordare con il semiologo Umberto Eco, il quale sosteneva che «sarà sempre il potere a persuadere me, non io a persuadere il potere». Vale a dire che era profondamente convinto della necessità di esercitare costantemente un’azione critica nei confronti dell’attività di tutti gli strumenti di comunicazione.