Il regista Pupi Avati racconta al "Corriere della Sera" la sua esperienza con lo IULM Movie Lab e con gli studenti
Prendete nota di questa data: il 7 settembre alle ore 16 verrà proiettato alla Mostra del cinema di Venezia il film Vorrei sparire senza morire. Si tratta di un'opera su Pupi Avati realizzata dal centro di produzione IULM Movie Lab con studenti e laureati del nostro Ateneo. Nella sezione "Giornate degli autori" della preziosa vetrina veneziana sarà possibile assistere a questa sorta di "confessione" del regista bolognese che offre al pubblico ricordi, riflessioni e anche qualche rivelazione.
In un'intervista pubblicata sul "Corriere della Sera" del 29 agosto, Avati si sofferma sul rapporto creatosi sul set con gli studenti e i laureati IULM che sono stati protagonisti della realizzazione del film. Il regista si è detto"lusingato" del fatto che il Rettore, prof. Gianni Canova abbia deciso di impegnare i suoi studenti in questa operazione: «sono fondamentalmente una persona immatura - ha dichiarato Avati - ed ero lusingato anche dal fatto che ci fossero studenti di cinema interessati a conoscere come ho vissuto questo mestiere». La lavorazione del film, iniziata nell'inverno del 2019, ha subito una battuta d'arresto a causa della pandemia, ma la tenacia dello stesso regista, degli operatori Marta Antonioli e Nicola Baraglia e della produttrice esecutiva Hilary Tiscione hanno avuto la meglio sulle difficoltà.
Con grande sorpresa dello stesso Rettore, Vorrei sparire senza morire approda così alla prestigiosa rassegna veneziana. «Più che un documentario, è uscito un monologo in libertà, con la voce narrante di Pupi fuori campo», ha dichiarato il prof. Canova al "Corriere". Il film si apre e si chiude nel cimitero di San Leo, in provincia di Rimini, dove riposano alcune delle persone care al regista, che così spiega il titolo: «L'ho scelto perché penso che il Creatore abbia commesso un unico errore. Poteva prevedere la sparizione senza il momento traumatico della morte. Un pensiero che dimostra il mio infantilismo ostinato». Ma, come scrive Dino Buzzati nel suo romanzo Un amore, «anche a cinquant'anni si può essere bambini, esattamente deboli, smarriti e spaventati come il bambino che si è perso nel buio della selva». E nel buio di una sala veneziana scopriremo anche il Pupi Avati bambino.