In pochi giorni uno scenario che si credeva improbabile si è trasformato in realtà: la Russia ha invaso l’Ucraina, interrompendo la pace che l’Europa viveva dalla fine della guerra nella ex Jugoslavia. Ma quali sono le ragioni di questo attacco e dove ha inizio il complesso e instabile equilibrio che regola il rapporto tra i due Stati? Ripercorrendo il retroterra storico di questo episodio il Prof. Guido Formigoni, docente di Storia contemporanea in IULM, ha cercato di fornire delle risposte nella lezione “La guerra in Ucraina: spunti storici per comprenderne l’attualità”, tenutasi il 9 marzo.
Le premesse di lungo periodo
La nascita della Russia cristiana viene fatta risalire al 988, anno della conversione al Cristianesimo del principato di Kiev. Questo territorio - in parte corrispondente all’attuale Ucraina - dopo un dominio mongolo di circa due secoli fu oggetto di una divisione i cui effetti arrivano fino a oggi: a ovest la confederazione polacco-lituana; a est, invece, la crescente influenza del principato di Moscovia, il cui principe Ivan il Terribile cominciò a farsi definire “zar”, avviando un percorso di concentrazione del potere. L’approccio di Mosca è imperialista, centrato sull’idea di allargare l’influenza verso sud (Mar Nero, Crimea) e non tiene in grande considerazione le diversità nazionali.
L’Ottocento vede però l’inizio di una rivendicazione nazionale da parte della popolazione ucraina, sebbene il primo vero distacco dell’Ucraina dalla Russia si abbia con la pace di Brest-Litovsk, nel 1918, favorito dai tedeschi. Lo zar abdica e assistiamo alla formazione di due repubbliche (est ed ovest) mentre sul territorio ucraino si combatte una guerra civile che Lenin riesce a controllare solo grazie a un rapporto non oppressivo con le varie identità nazionali.
L’epoca sovietica
Dopo la vittoria dell’armata socialista nasce dunque l’URSS, un’unione di repubbliche sovietiche - precedentemente separate dalla Russia - di cui fa parte anche l’Ucraina. Durante tutto il periodo sovietico si coltiva l’idea che ogni nazione possa avere la propria élite locale, purché non sia sgradita al vertice del partito comunista sovietico. Tuttavia il rapporto non è sempre così semplice: il biennio ‘32-33 è ricordato per l’Holodomor, la grande carestia presumibilmente indotta da Stalin per punire i contadini che cercavano di sottrarsi alla collettivizzazione delle terre, che provocò circa 4 milioni di morti.
Durante la Seconda Guerra Mondiale una parte della popolazione ucraina appoggia l’invasione tedesca, ma si crea nel frattempo un esercito di resistenza (UPA) guidato da Stepan Bandera, che sarà sconfitto solo nel 1950. Nel secondo dopoguerra la Russia riconosce all’Ucraina l’autonomia amministrativa e assistiamo a un allargamento dei suoi territori verso la Polonia. Fa seguito un periodo di scarsi movimenti, se si eccettua la cessione della Crimea all’Ucraina ad opera di Chruščëv, repubblica in cui sono presenti porti di importanza cruciale per la flotta sovietica. La stessa dissoluzione dell’URSS nel 1991, dopo il tentativo fallito di riforme da parte di Gorbaciov, è riconducibile soprattutto allo scioglimento del partito centrale e non alla questione delle nazioni. Le élite locali, però, venendo meno l’ideologia comunista, riscoprono le identità nazionali.
L’Ucraina indipendente
L’indipendenza dell’Ucraina non è accompagnata da un nazionalismo duro: la cittadinanza viene concessa a tutti, compresa un’ampia parte di popolazione russofona che vive in Crimea e nelle regioni di Donetsk e Lugansk. Il passaggio dall’economia pianificata socialista all’economia liberale è però disastroso per gran parte della popolazione. Difficoltà analoghe vive la Russia di El’cin: in questo clima di fragilità la Nato allarga la sua influenza a est, portando Mosca a percepirsi assediata dal punto di vista geopolitico.
Tra il 1999 e il 2001 Putin, primo ministro sotto El’cin e poi presidente della Repubblica, rilancia il nazionalismo russo: internamente attraverso la lotta agli oligarchi e il rialzo del prezzo del petrolio, in politica estera con il consolidamento militare e lo sviluppo di una matrice autoritaria. Intanto l’Ucraina è attraversata da un’evoluzione occidentalista che porta alla rivoluzione “arancione” del 2004: le elezioni vengono contestate duramente dai movimenti di piazza, sostenuti da governo e istituzioni americane e considerati da Putin un’intromissione nella vita autonoma del Paese. Il successo della rivoluzione porta a nuove elezioni e alla vittoria del blocco antirusso di Juščenko (presidente) e Timošenko (primo ministro). Dal 2004 i rapporti con la Russia tendono a peggiorare e Putin considera la possibilità di reagire alle pressioni occidentali mediante l’utilizzo di forze armate (vedasi la “Guerra d’agosto” in Georgia, nel 2008).
La crisi recente
Le elezioni presidenziali ucraine nel 2010 hanno di nuovo visto una forte polarizzazione: a vincere è stato il candidato russofono Janukovyč, cacciato però nel 2014 in seguito alla rivolta di Euromaidan. La risposta di Putin è dura: favorisce il distacco delle regioni a maggioranza russofona (Crimea e Donbass) attraverso infiltrazioni e sostegno a forze locali, in una guerra civile strisciante che porta a sanzioni da parte dell’Occidente e all’avvicinamento della Russia alla Cina.
Nel governo successivo Porošenko continua sulla linea del rafforzamento dell’associazione con l’Occidente, esibendo l’intenzione di voler entrare nella Nato, ma la sua coalizione viene fortemente osteggiata e nuove elezioni presidenziali, vinte dall’attuale presidente Zelens’kyj, si tengono nel 2019.
L’esito tragico: guerra d’invasione
Pur senza provocazioni particolari, nelle ultime settimane abbiamo assistito a un irrigidimento diplomatico da parte di Putin, probabilmente dettato da problemi economici interni: il ricorso al nazionalismo compatta il consenso attorno al governo, mentre alzare la tensione diplomatica aumenta il prezzo degli idrocarburi esportati.
Risulta però complicato decifrare le reali intenzioni di questa invasione: quello della “denazificazione” dell’Ucraina appare un semplice pretesto. Difficile anche pensare a un’occupazione militare stabile, per cui la Russia non possiede le risorse militari ed economiche. Una delle ipotesi più plausibili è che Putin voglia correggere i confini approfittando della debolezza dell’asse USA-UE, per quanto i risultati, al momento, non siano entusiasmanti: il percorso militare russo è parso accidentato e ha incontrato una dura resistenza da parte dell’Ucraina. Inoltre questa mossa, oltre ad aver creato dissidi interni alla stessa Russia, ha portato a un compattamento tra Nato e UE e a ipotesi di mediazione da parte di Israele e Cina.
È naturalmente impossibile prevedere gli sviluppi del conflitto: le conseguenze per Putin saranno legate a ciò che succederà all’interno della società russa e alla sua capacità di conservare l’enorme consenso popolare di cui gode, ma l’auspicio è che si fermino gli atti di violenza, trovando sul tavolo delle trattative una soluzione accettabile per entrambe le parti coinvolte.