Proiezione del film "Si può fare"

Cinema - Data pubblicazione 04 ottobre 2023 - Data evento 11 ottobre 2023

In occasione della Giornata internazionale della salute mentale è stato proiettato in IULM il film di Giulio Manfredonia.

Mercoledì 11 ottobre in Auditorium (IULM 6), in occasione della Giornata internazionale della salute mentale, si è tenuta la proiezione del film Si può fare, diretto nel 2008 da Giulio Manfredonia e interpretato da Claudio Bisio, Anita Caprioli e Giuseppe Battiston. Ambientato nel 1983 in una cooperativa sociale nata per accogliere i pazienti dimessi dai manicomi, dopo l'entrata in vigore della Legge 180 - nota anche come Legge Basaglia, dal nome dello psichiatra che si era battuto per la chiusura delle istituzioni manicomiali - il film sceglie i toni della commedia per toccare un tema di grande delicatezza.

La proiezione è stata introdotta dal Rettore Prof. Gianni Canova: “Quest’anno facciamo una scelta in continuità con l'evento dell'anno scorso, durante il quale era stato proiettato Qualcuno volò sul nido del cuculo, ma con un film molto diverso. La pellicola di Manfredonia affronta un tema su cui l’Italia ha un primato assoluto: siamo stati il primo paese che si è posto il problema di chiudere quelle istituzioni totalitarie che erano i manicomi, dove il trattamento del disagio mentale portava a situazioni disumane. Basaglia fu un innovatore straordinario e questo film, interpretato da un grandissimo Claudio Bisio, racconta di situazioni reali verificatesi in Italia dopo la legge Basaglia. Si chiudono i manicomi e si formano cooperative dove i ”matti" vengono impiegati in piccoli lavori. Arriva un ex sindacalista (Claudio Bisio) col compito di riuscire a trovare un’attività che faccia loro da recupero. Faccio appello a chi studia management e organizzazione: mettetevi nei panni di Bisio, e capirete cosa deve fare un manager. Come debba entrare in sintonia col paesaggio umano che ha di fronte, capire qual è il talento di ognuno e valorizzarlo mettendolo in sintonia con gli altri."

Al termine della proiezione lo psichiatra Francesco Comelli, ospite per l'occasione, e il Prof. Massimo De Giuseppe, delegato dal Rettore all'inclusione e disabilità e al counseling psicologico, hanno dato vita a un dibattito a partire dalle suggestioni offerte dal film.


La legge Basaglia avviene in un momento di assoluta svolta nella storia italiana, con l'uccisione di Aldo Moro e il crollo del progetto del compromesso storico. Il governo Andreotti riesce a far approvare questa legge, che pone l’Italia in una posizione di avanguardia assoluta. Qual è l’impatto che questa svolta legislativa produce sul mondo della psichiatria?

La legge 180 fu una svolta culturale e sociale. In questo film vediamo come il modo in cui viene considerato il disagio mentale dalla società influenzi il disagio stesso. Se a partire dal '700 isolare i “malati mentali” era già considerato un forte passo in avanti, Basaglia ebbe una grandissima trovata: aprire ai gruppi, considerare il mondo funzionante come un mondo che non doveva essere tenuto lontano da queste persone - che avevano un potenziale creativo anche molto importante. Di conseguenza ha rotto questo isolamento, tentando di portare il disagio mentale all’interno della società.

Prima della legge Basaglia, l'ultima legge sul tema risaliva al 1904, quindi in epoca giolittiana. Se dal 1904 al 1978 il mondo era cambiato, tra il '78 e il 2023 il mondo è mutato altrettanto. Quali sono le nuove forme di fragilità che dal suo osservatorio vede emergere?

Uno dei fenomeni più importanti che abbiamo visto è lo sviluppo di malattie e disagi che attaccano il corpo, che dicono: io muoio, io non esisto. Il farsi male, l’andare vicino alla morte. Da clinico mi sono posto il problema: come mai oggi si soffre di questo? Dopo la distruzione della seconda guerra mondiale, ci siamo illusi di poter riparare ogni male dell’uomo con i beni materiali. Come se la ricchezza e la bellezza estetica potessero risolvere tutto. Oggi c’è stata una crisi dei contenitori sociali molto importante. Le famiglie si sono trovate a essere investite da questo tema, dal come fare, da sole, a contrastarlo. L’unica cosa che rimane, a molti adolescenti, è il corpo. Spesso l’unico depositario della simbolizzazione: non mi deprimo più, ma perdo venti chili. Uno dei markers delle patologie contemporanee è ammalarsi per avere una identità. Se io sono anoressico, perlomeno mi identifico in questo.

Cos'ha rappresentato questa stagione particolare del covid?

Prima di tutto il covid ha rappresentato una sconfessione dell’onnipotenza dell'uomo. Per molte famiglie, poi, ha significato dover stare insieme nonostante legami difficili. Ha messo in evidenza molte fragilità e sofferenze. Siamo forse ora in una fase di elaborazione e di incontro. Credo che questo sia un momento in cui l’uomo deve cercare di capire come mai sta male, quali sono gli aspetti veramente importanti della nostra identità che sono andati un po’ persi.

Il film ha un titolo positivo, e uno degli strumenti che funziona in questi processi di reinserimento è sicuramente l’arte. Cosa possono fare l’arte e la creatività in questo ambito?

Con l’associazione Basti-menti stiamo vivendo un’esperienza analoga. Molte persone hanno un loro talento dimenticato, non espresso. Si è perso, per certi versi, il senso dell'identità individuale. Molte persone hanno smesso di vedere la parte costruttiva della propria identità per adattarsi a un funzionamento. In tante situazioni critiche si osserva questo fenomeno, per cui la gente è come se non trovasse più se stessa. Il nostro lavoro è quello di riscoprire qualcosa che in realtà c’è, e che non si trova perché è stato dimenticato, camuffato per non ferire, per affetto, per adattarsi a un mondo solo funzionale. Con Basti-menti abbiamo pensato di partire proprio dai talenti delle persone e non cercare di imporre qualcosa dall’alto.