Anno 2023
Secondo una convinzione diffusa nel dibattito scientifico, la disinformazione e l’hate speech appartengono soltanto ad un fronte politico, variamente etichettato come alt-right, complottismo, negazionismo, e così via. Proprio per questo è necessario occuparsi anche dell’altra metà dela storia, e di due cose in particolare: le strategie di disinformazione online sul Sars-CoV-2 e sulle relative misure di contenimento; e le forme di hate speech e blaming che si possono ricondurre al discorso pubblico di sinistra.
La disinformazione in materia di Sars-Cov-2, nota come infodemia, è stata largamente analizzata, con puntuale riferimento alle posizioni dei cosiddetti “negazionisti” o “No-Vax. In questo caso, ci occuperemo invece di un altro tipo di disinformazione: quella orientata a diffondere previsioni catastrofiche e notizie false, con lo
scopo di generare terrore e legittimare le misure di contenimento. Si tratta di un problema denunciato da tempo da alcuni degli epidemiologi più quotati del mondo – Martin Kulldorff, John Ioannidis, Jayanta Bhattacharya, Sunetra Gupta, Harvey Risch – e che pure non è stato studiato da nessuno, al momento. Sommariamente, possiamo ricordare qui alcuni esempi: la reificazione della curva epidemica, e l’equivoco antiscientifico sul suo andamento esponenziale; le leggende metropolitane sull’esaurimento delle bare, della legna per le pire funerarie e delle tombe; le tante sciocchezze sulle mascherine all’aperto e la disinfezione delle superfici, e così via. A questo infinito campionario di falsità e previsioni terroristiche, applicheremo lo stesso metodo comunemente usato per studiare l’altra metà della disinformazione: la ricerca dei nodi decisivi; l’individuazione dei bot che
operano a sostegno del lockdown e della limitazione delle libertà; l’analisi dello spreading pattern; il modo in cui i messaggi rimbalzano in rete e si rinforzano.
La seconda sezione della ricerca prenderà in esame quella massa aggrovigliata di contenuti che vanno sotto la categoria generale di disinformazione: fake news vere e proprie; campagne di criminalizzazione, di labeling e blaming; violenza verbale ed hate
speech; incitazione alla radicalizzazione; e se vogliamo, la cosiddetta political
incivility. La differenza specifica, come detto, è che lavoreremo sui contenuti prodotti e messi in circolazione da soggetti – individui o associazioni che siano – che appartengono alle forze egemoni nel campo della cultura.