Nel composito mondo maya, il cacao era associato all’impianto cosmogonico, all’inframundo, al sangue, al sacrificio rituale e al viaggio. Il cacao (che contiene teobromina, simile alla caffeina, catechine e flavonoidi) aveva dunque una funzione rituale e poteva essere utilizzato anche all’interno di pratiche spirituali e di alterazione della coscienza. In particolare, contribuiva a connotare una serie di riti di passaggio: dalla nascita al matrimonio alla morte. Il codice Vidobonensis raffigura gli scambi di cacao in occasione delle nozze tra il dio della pioggia Chac e la dea giaguaro dell’ostetricia, Ixchel. Semi di cacao, nascosti da una conchiglia, sono stati trovati sul volto di K’ab’al Xook, nella tomba III di Yaxchilán. Le porte di accesso tra i mondi, riprodotte nelle sepolture, rimandavano alle cuevas (grotte) o ai cenotes (laghi sotterranei).
Come emerge dalle narrazioni mitiche del Popol Vuh, la sintesi della cosmogonia quiché, o nei nove libri sopravvissuti del Chilam Balam, manoscritti maya yucatechi del XVII secolo che raccolgono storie ancestrali, profezie, note calendariali e astronomiche, il cacao è un cibo tramite tra il divino e l’umano. In un passaggio il chilam, una sorta di profeta giaguaro maya, afferma:
Se sei un vero uomo, cercami i racconti verdi della tua preghiera, dimmi quanto tempo preghi, portami la tua cinta perché possa odorarla, l’odore del tuo corpo e delle tue vesti e l’odore che è al centro delle nubi mi diranno se sei animato da verità. Il tuo primo odore deve essere del copal.
Il tuo primo alimento, il cacao.
Nelle fonti maya si cita il cacao anche come farmaco, in particolare ne I rituali
del Bacabs, un manoscritto tradotto in latino dove si fa riferimento al chacah, un medicamento a base di cacao, utile per protezioni rituali ma anche per malattie quali dissenteria e blocco renale.
Non solo il giaguaro ma anche altri animali si associano al cacao e ai suoi rituali iniziatici che incidono sui calendari agricolo e religioso. La relazione simbolica tra la scimmia e il cacao rimanda a una divinità celeste, con connotati di fornitore di alimenti (Ka’wil), che avrebbe lasciato cadere semi di cacao nel cerchio di uno spazio mitico associato alla montagna e alla ciclicità vita-morte. La scimmia, rubando le cabosse e spargendo poi i semi sulla terra, avrebbe fertilizzato la foresta e per questo spesso è rappresentata incinta. Gli dèi avrebbero poi mandato un uccello a recuperare i semi, collegando attraverso altri animali (giaguari, coccodrilli, tartarughe) spazi sacri e mondani, terra e cielo. Alcuni elementi di tali tradizioni culturali sarebbero sopravvissuti nei secoli nelle comunità chontal, chol, zoque, lacandone, quiché, kechki, pipil...